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Se però queste "prove tecniche di rialzo" servono a rassicurare i mercati sulla volontà delle banche centrali di aumentare il costo del danaro e strangolare nella culla l'idra dell'inflazione, ben vengano gli aumenti. Che saranno in ogni caso graduali e in presa diretta con il miglioramento - un miglioramento che deve essere duraturo e non episodico per dar via libera a ulteriori aumenti dei tassi - della congiuntura interna e internazionale. I timori dell'inflazione sono naturalmente legati ai due fattori distintivi della possente risposta delle politiche economiche. Il mare di liquidità che è stato creato e che scroscia nei mercati, e il balzo dei deficit e dei debiti pubblici. Balzo che procura, ai sospettosi di professione, un brivido di inquietudine: l'inflazione aiuta i debitori, e potrebbe essere nell'interesse dei governi di diluire il debito con l'inflazione. Come tutte le teorie del complotto, anche questa è fondata più su fantasmi che sulla realtà. D'altronde, è il mercato stesso a smentire queste ipotesi complottarde. Se questi timori fossero veri e diffusi, i tassi sui titoli pubblici lunghi li rifletterebbero fin d'ora. Se è vero che i debiti pubblici (al netto delle attività) in percentuale del Pil sono saliti dappertutto (vedi grafico), è anche vero che, come afferma uno studio dell'Ocse, il rientro dall'inchiostro rosso è ambizioso ma non impossibile.
Certo se, come è possibile, ci sono oggi rischi verso l'alto per la crescita, il peso dei debiti sarebbe diluito dall'aumento del denominatore nel rapporto debito/Pil. E se alle manovre tradizionali di contenimento del deficit (maggiori entrate e riduzioni di spese) si aggiungono i benefici di una nuova ondata di privatizzazioni, la "missione impossibile" potrebbe avere lo stesso successo di quelle dei famosi telefilm.
I timori sul dollaro sono naturalmente legati ai deficit gemelli, il cui combinato disposto (deficit corrente+deficit pubblico) ha raggiunto nuovi record. Tuttavia, questo nuovo primato degli squilibri americani è meno preoccupante di quanto sembri. Il deficit corrente, che negli anni scorsi aveva sfiorato il 7% del Pil, è calato (secondo trimestre 2009) fino al 2,7%, e il record è dovuto solo al deficit pubblico, che è invece schizzato all'11,7 per cento. A parte il fatto che quello stratosferico livello contiene alcune imputazioni contabili non-cash, l'esperienza Usa dice che il peso del deficit è riassorbibile in situazione di crescita. Il ribilanciamento delle valute è un utile ingrediente nello scioglimento degli squilibri, ma è improbabile che il dollaro possa rivisitare i minimi del 2008 contro euro. Mentre è probabile che riprenda la rivalutazione dello yuan: il non-deliverable forward a 12 mesi ha ripreso ad apprezzarsi.
fabrizio@bigpond.net.au
l.paolazzi@confindustria.it
IN SINTESI
L'USCITA DALLA CRISI
- La fase di ripresa sarà più una maratona che uno sprint.
Le maratone non hanno un inizio bruciante, ma hanno tuttavia un inizio, e con qualche buona volontà si può vedere nell'aumento dei tassi in Australia (il primo nel G20) la prova tecnica per un avvio della exit strategy. Anche l'espansione quantitativa della moneta si sta moderando.
LA FIDUCIA SI ALLARGA
- Da qualche mese ormai gli indici di fiducia stanno risalendo, e questa risalita riguarda sia le imprese che i consumatori. Geograficamente, il miglioramento è abbastanza diffuso da far pensare che il tutto diventi più della somma delle parti.
TASSI FERMI, ANZI NO
- Israele e Australia: sono i soli due paesi in cui è cominciata la "normalizzazione" dei tassi, che altrove, nel segmento breve, vengono promessi fermi dalle banche centrali.
Sul lungo nominale, qualche timida riduzione non scalfisce l'alto livello dei tassi reali.
YUAN, PROVE DI RIALZO
- Dopo essersi appiattito sul cambio a pronti, il tasso di cambio della moneta cinese a 12 mesi segnala di nuovo la rivalutazione insistentemente chiesta dagli Usa e dagli organismi internazionali in funzione di "ribilanciamento" della crescita globale. Il dollaro è ancora sotto pressione, ma il rischio verso il basso è limitato.